Castello di Racconigi
Il castello reale di Racconigi (in piemontese ël castel ëd Racunìs) è situato a Racconigi, in provincia di Cuneo ma poco distante da Torino.
Nel corso della sua quasi millenaria storia ha visto numerosi rimaneggiamenti e divenne di proprietà dei Savoia a partire dalla seconda metà del XIV secolo. In seguito fu residenza ufficiale del ramo dei Savoia-Carignano e successivamente fu eletto sede delle «Reali Villeggiature» della famiglia reale dei re di Sardegna (e poi d'Italia) nei mesi estivi e autunnali.
Divenuto un polo culturale e museale altamente frequentato,[N 1] il castello fa parte del circuito delle Residenze Sabaude del Piemonte e dal 1997 è parte del sito seriale residenze sabaude compreso nella lista dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO.
Nel 2016 ha fatto registrare 127 368 visitatori
Le prime notizie di una fortificazione presente a Racconigi risalgono all'XI secolo, epoca in cui il territorio era parte della Marca di Torino e dove Bernardino di Susa edificò o riadattò un'antica casaforte, sui resti di un precedente monastero.
Nel 1091, alla morte della marchesa Adelaide di Susa, i territori furono occupati dal nipote Bonifacio del Vasto e il feudo di Racconigi entrò quindi a far parte dei possedimenti dei marchesi di Saluzzo.
Successivamente, il nipote di Bonifacio del Vasto Manfredo II di Saluzzo ampliò la struttura esistente facendo innalzare un primo castello a pianta quadrata con cortile interno, destinandolo a difesa strategica per i territori del marchesato.
Nel 1372 il marchese Federico II di Saluzzo cedette in pegno il castello ai conti Falletti ma dopo alcuni anni ritornò di proprietà dei Marchesi di Saluzzo. Infine, nella seconda metà del XIV secolo, un figlio illegittimo di Ludovico, ultimo principe di Savoia-Acaia, ottenne il feudo e il castello di Racconigi,[5] dando inizio alla linea dinastica dei Savoia-Racconigi estintasi nel 1605.
Nel 1620 il duca Carlo Emanuele I di Savoia ne fece dono a suo figlio Tommaso Francesco di Savoia, capostipite della dinastia Savoia-Carignano. A quel tempo la struttura appariva come un classico castello medievale: una massiccia fortezza in mattoni nudi a pianta quadrata, con quattro grandi torri angolari, il fossato, il ponte levatoio e un alto mastio laterale.
«...era in origine più adatto a rintuzzare la foga di armi ostili piuttosto che piacevole residenza, perché munito di robuste torri sugli angoli, e di fossati in giro, e di spalti...»
L'impianto della struttura, rimasto pressoché invariato fino alla metà del XVII secolo, venne sottoposto ad un primo rimaneggiamento su volere del figlio di Tommaso, Emanuele Filiberto, che commissionò nel 1676 a Guarino Guarini la prima, completa trasformazione della fortezza in «delizia». Egli innalzò, sfruttando l'ampio spazio interno della corte, un grande corpo centrale con copertura «a pagoda»; inoltre, sulla base delle due torri angolari della facciata settentrionale, sviluppò i due padiglioni di quattro piani, sormontati da un tetto a cupola quadrangolare con lanterne in marmo bianco. Tuttavia, il grandioso progetto del Guarini non coinvolse soltanto l'edificio, ma vide anche l'affiancamento del noto architetto francese André Le Nôtre, che si occupò della risistemazione del vasto parcoA lavori ultimati, il 7 novembre 1684 Emanuele Filiberto sposò a Racconigi Maria Caterina D'Este.
A partire dal 1757 Ludovico Luigi Vittorio di Carignano commissionò all'architetto Giovanni Battista Borra un notevole rimaneggiamento secondo il gusto neoclassico tipico dell'epoca, a cui si deve il rifacimento della facciata meridionale con l'aggiunta del pròtiro tetrastilo con colonne corinzie sormontate dal frontone triangolare dentellato di ispirazione palladiana e l'antistante scalone monumentale.Gli interventi interni, invece, interessarono il Salone d'Ercole, l'attigua Sala di Diana e l'allestimento delle stanze dell'Appartamento Cinese, decorate con preziose carte da parati in carta di riso.
L'attuale aspetto dell'edificio è in gran parte frutto del rimaneggiamento voluto nel 1832 dall'ultimo principe di Carignano, nonché neo re di Sardegna, Carlo Alberto. Egli ritenne necessario ampliare e abbellire ulteriormente la residenza, che da quel momento in poi cessò di appartenere alla famiglia Savoia-Carignano per passare alla corona di Sardegna, assumendo così lo status di «residenza reale», nonché eletta sede delle «Reali Villeggiature».
Il sovrano affidò i lavori all'ingegner Ernesto Melano, che innalzò ulteriormente l'antica struttura quadrangolare attorno al corpo centrale e sviluppò le due grandi maniche laterali del prospetto meridionale, riproponendo il tema della cupola «a pagoda» come copertura delle due torrette angolari. Inoltre, la sistemazione comprese il rifacimento del piazzale e l'edificazione dei fabbricati a "C" che raccordano le nuove ali del prospetto sud ai retrostanti padiglioni della facciata settentrionale. Contestualmente a quest'intervento, vennero anche demoliti un mulino e alcune abitazioni antistanti che nascondevano alla vista il castello, dando luogo all'ampia piazza davanti all'ingresso principale, in asse con il lungo viale alberato antistante.
Gli interni furono invece riallestiti alle esigenze dell'epoca affidando l'opera a Pelagio Palagi, che riarredò i nuovi ambienti mantenendo la coerenza con il gusto neoclassico. Con lui operò anche l'ebanista astigiano Gabriele Capello, detto «il Moncalvo» di cui si ricordano, tra le numerose opere conservate nel castello, i preziosi intarsi che ornano gli arredi e le ante delle porte del Gabinetto Etrusco, studio personale di re Carlo Alberto.
A partire dal 1834, la Galleria di ponente fu oggetto del lavoro del pittore Marco Antonio Trefogli, che la ornò con raffinate grottesche, raffiguranti frutta e volatili. Insieme a Luigi Cinnati, Trefogli inoltre realizzò ornati e arabeschi per la Sala di ricevimento e la Sala da pranzo. Per il bagno di Carlo Alberto, dipinse nelle fasce ornamentali dei motivi floreali, oltre a grottesche, anfore, conchiglie, cigni e grifoni, mentre nel fregio sopra il cornicione sono state inserite delle figure di draghi alternate a girali.
La sistemazione del parco, invece, fu affidata al paesaggista tedesco Xavier Kurten, che trasformò la precedente opera di Le Nôtre a favore di un'impostazione romantica. È di questi anni anche il progetto e la costruzione della Margarìa, la cascina in stile neogotico collocata al fondo del parco, nuovamente frutto della collaborazione di Ernesto Melano e Pelagio Palagi. Proprio nei viali di questo parco il 19 agosto del 1840 avvenne il primo incontro, organizzato dalle rispettive famiglie, tra il principe Vittorio Emanuele, futuro primo re d'Italia e la sua prima moglie, nonché cugina Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena.[19] I due convolarono a nozze due anni dopo (1842) presso la Palazzina di caccia di Stupinigi e dal matrimonio nacque, tra gli altri figli, il principe ereditario Umberto I.
Negli anni successivi, i successori di Carlo Alberto frequentarono meno assiduamente la dimora; tuttavia, con l'avvento al trono di Vittorio Emanuele III nel luglio del 1900, la residenza tornò ad essere sede delle «reali villeggiature» nei mesi estivi e autunnali. Nel 1901 il castello venne dotato di impianti idrici e di energia elettrica, con un nuovo sistema d'illuminazione lungo tutta la cinta muraria del parco, e nel 1902 fu anche installato un ascensore Stigler. Sempre a Vittorio Emanuele III si deve la decorazione delle pareti interne dello Scalone d'Onore, in una delle quali è riportata una delle più complete raffigurazioni genealogiche della famiglia reale, opera di Adolfo Dalbesio, autore anche delle altre quattro grandi tele raffiguranti stemmi di Casa Savoia.
In base alle nuove esigenze della famiglia reale, vennero ammodernati molti locali del castello, tra cui l'appartamento dei sovrani al secondo piano. Qui, alle 23.15 del 15 settembre 1904, nacque l'ultimo re d'Italia Umberto II e una serie di importanti eventi si susseguirono: nel 1909 la residenza fu sede della visita dello zar Nicola II per sottoscrivere il Trattato di Racconigi mentre nel 1925 si svolsero le nozze della principessa Mafalda.
Nel 1930 il principe Umberto ricevette in dono la residenza, in occasione delle sue nozze con la principessa Maria José del Belgio, celebratesi a Roma. A lui si deve il minuzioso reperimento presso le altre residenze sabaude di numerosi dipinti di famiglia, oggi conservati nelle varie gallerie e nei numerosi corridoi, e una raccolta di documentazione sulla Sindone di Torino. Vennero inoltre ristrutturati alcuni blocchi di appartamenti del secondo piano, tra cui le sale da bagno dei principi di Piemonte e il salotto della musica, con soffitti e pareti decorati in stile futurista da Fiore Martelli, allievo dell'illustre Giò Ponti.
In seguito ai risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, il castello venne chiuso e avocato allo Stato italiano. Le principesse Jolanda, Giovanna e Maria e gli eredi della già scomparsa Mafalda intentarono una causa sull'illegittimità della donazione del 1930 a Umberto II. Difatti la Corte di cassazione nel 1972 decretò che solo un quinto del palazzo fosse confiscabile, cioè quello di proprietà di Umberto II, ma che allo Stato italiano doveva essere garantito il diritto di prelazione, in caso di vendita a privato.[28] Nel 1980, dopo trentaquattro anni di esilio, Umberto II decise di vendere l'intera proprietà allo Stato, ponendo un'unica clausola: che la residenza e tutte le proprietà ad essa annesse fossero correlati al tema della «conoscenza» e, quindi, che ciò determinasse un utilizzo destinato ad attività culturali di tipo divulgativo
Il castello si affaccia a nord verso un imponente parco alla francese di circa 170 ettari, delimitati da un muro di cinta lungo in totale 6 km. Alla fine del Seicento il parco appariva secondo il rigore geometrico conferitogli dall'architetto francese André Le Nôtre, medesimo autore dei giardini della Reggia di Versailles.
Circa un secolo dopo, su volere della principessa Giuseppina di Lorena-Armagnac, il parco vide una trasformazione ad opera di Giacomo Pregliasco, che ne riprogettò una parte offrendo nuovi percorsi immersi in una natura rigogliosa ed apparentemente selvaggia. Il completamento del parco in stile romantico, come appare oggi, lo si deve a Carlo Alberto, che nel 1836 affidò i lavori al paesaggista prussiano Xavier Kurten. Questi si dedicò alla risistemazione del lago, dei viali e dei corsi d'acqua e, con l'aggiunta di ponticelli, colline e nuovi filari d'alberi, ne fece un tipico parco del XIX secolo.
Al Kurten successero nella direzione del parco i fratelli Roda: Marcellino dal 1843 al 1859 e Pietro Giuseppe dal 1860 al 1870. Sotto la loro conduzione il parco reale acquistò fama a livello europeo per la vasta produzione di fiori rari e piante da frutto esotiche che i due fratelli coltivavano nei giardini a fiori e a frutta e nella nuova serra riscaldata voluta da Carlo Alberto.
Tra l'Ottocento e il Novecento il parco fu utilizzato prevalentemente come riserva di caccia e tenuta agricola, tanto da riservarne alcune piccole porzioni a coltivazioni di mais e cereali. Tuttavia, dal secondo conflitto mondiale in avanti si verificò una certa carenza di manutenzione e un progressivo stato di abbandono.
Dalla riapertura del castello il 24 maggio 1993 in poi, anche il parco è stato oggetto di una serie di attenti interventi di recupero, volti a riportarlo all'aspetto conferitogli da Kurten nell'Ottocento. Nuovamente visitabile, il parco offre una grande varietà di specie vegetali e di animali protetti, una rete di viali e sentieri dallo sviluppo complessivo di 25 km, bacini d'acqua (tra cui il lago di 18 ettari di superficie), grandi aiuole fiorite e, come il castello, è abituale luogo di attività ed eventi culturali.
Nel 2010 il parco è stato scelto tra i primi dieci finalisti e poi decretato vincitore nel concorso I parchi più belli di Italia 2010; sempre nel medesimo anno il parco ha ospitato la Biennale di Scultura Internazionale nell'ambito dell'iniziativa Scultura Internazionale a Racconigi, 2010. Presente ed esperienza del passato.